Psicologisti - Zoom

Come te la cavi con Zoom?

L’emergenza sanitaria da COVID 19 ha reso ancor più familiari e utilizzate le modalità di comunicazione a distanza: dalle riunioni di condominio, ai colloqui con le insegnanti, dagli appuntamenti di lavoro alle sedute di psicoterapia. Zoom, Microsoft Teams, WhatsApp, Face Time, Skype, ognuno di noi ha avuto modo di “incontrare” familiari e colleghi usando una piattaforma di video-conferenza.
Sembra tuttavia che l’uso dei mezzi di comunicazione a distanza abbia avuto anche dei risvolti negativi. 

Studiosi e ricercatori in campo psicologico e sociale hanno rilevato un fenomeno chiamato Zoom fatigue. Il concetto si riferisce ad una forma di affaticamento, preoccupazione o vero e proprio burnout causato da un uso eccessivo delle piattaforme di video-conferenza (il riferimento a Zoom è solo indicativo). 

Questo fenomeno sembra colpire più frequentemente le donne, rispetto agli uomini, e una serie di fattori diversa natura sono stati individuati per motivarne l’esistenza: alcuni sono relativi ad aspetti spaziali e dinamici strettamente legati al contesto di video-confernza, altri invece riguardano lo sforzo cognitivo necessario a gestire l’interazione interpersonale in tale ambiente.  

Il Prof. Jeremy Beilenson1, della Stanford University, ha distinto cinque specifici meccanismi non verbali relativi all’attuale implementazione delle video-conferenze che possono spiegare lo Zoom fatigue. Il primo è definito “mirror anxiety” e può essere scatenato dal fatto di osservare sé stessi nello spazio della piattaforma relativo alla propria fotocamera, che agisce come un onnipresente specchio per tutta la durata dell’interazione. L’esposizione prolungata a uno specchio risulta aumentare l’attenzione focalizzata sul sé, e questo più avere effetti negati in termini di ansia e depressione. 

Il secondo fa riferimento ad un senso di intrappolamento dovuto alla costrizione fisica necessaria a mantenere la giusta posizione di inquadratura nel corso della video-conferenza. In effetti, nel caso di incontri in presenza, i partecipanti sono più liberi di muoversi, anche senza alzarsi dalla propria postazione. Alcuni studi di ricerca hanno dimostrato che una riduzione della mobilità può influenzare negativamente la performance cognitiva. 

Il terzo fattore fa riferimento all’esperienza di avere costantemente gli occhi degli interlocutori nel nostro campo visivo. Nel corso di una conversazione in presenza chi parla tende a concentrare su di sé gli sguardi degli ascoltatori, ma è stato osservato che durante una video-conferenza i partecipanti tendono a mantenere il contatto oculare con le altre persone, e non soltanto con chi sta parlando. Essere osservati, anche se da volti digitali, può causare attivazione fisiologica e ansia. 

Gli ultimi due meccanismi sono relativi all’aumentato carico cognitivo dovuto alla gestione del comportamento non verbale nell’ambiente di comunicazione a distanza. Mentre la comunicazione non verbale può essere inconscia e spontanea nell’interazione faccia a faccia, la video-conferenza richiede uno sforzo e un’attenzione intenzionale per produrre e interpretare indizi comunicativi non verbali. Assistere a comportamenti normali, come annuire nel corso della conversazione, o a gesti volutamente esagerati in modo da essere visibili sullo schermo, può aumentare il carico cognitivo nel corso di una conversazione in Zoom. Interpretare gli indizi può anche essere più difficile a causa del posizionamento della fotocamera o della qualità delle immagini e dell’audio. 

Alla luce di queste informazioni, alcuni ricercatori2 hanno posto l’attenzione anche a chi usa o ha usato le piattaforme di video-conferenze a scopo educativo e didattico, e dunque agli studenti che hanno sperimentato la didattica a distanza, suggerendo delle strategie per ottimizzare l’apprendimento. Posizionare la fotocamera in modo da essere ben visibili, usare attivamente risposte facciali e corporee come nel caso di un’interazione faccia a faccia, predisporre l’ambiente fisico in cui accade l’apprendimento a distanza in modo da ridurre le interferenze in termini di notifiche e multitasking, sono solo alcuni degli accorgimenti che dovrebbero risultare vantaggiosi.

Se poi siete tra quelli che salutate con la mano al termine di una video-conferenza (sottoscritta inclusa), non dovete preoccuparvi! C’è una definizione anche per questo: Zoom wave. A quanto pare, significa che non abbiamo del tutto perso le nostre competenze sociali, nonostante l’esperienza dell’isolamento. Sentiamo la necessità di usare un gesto univoco che segnala la fine della riunione, quando molti altri indicatori contestuali non potrebbero essere efficaci data la mancata prossimità fisica. 
Meno male!

1J. N. Bailenson (2021). Nonverbal overload: A theoretical argument for the causes of Zoom Fatigue. Technology, Mind, and Behavior. 2, 1-6.
2Peper, E., Wilson, V., Martin, M., Rosegard, E., & Harvey, R. (2021). Avoid Zoom fatigue, be present and learn. NeuroRegulation, 8(1), 47-56.

Sara Zaccaria

Sara Zaccaria

Psicologa e psicoterapeuta, ha coniugato la passione per i libri e quella per la psicologia occupandosi dello sviluppo editoriale per Hogrefe Editore e svolgendo attività libero professionale con bambini e adulti.

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