Psicologisti - Dietro la maschera del cosplay

Dietro la maschera del cosplay

Il 3 novembre scorso si è chiusa l’edizione 2019 del Lucca Comics & Games, la 53° edizione di uno degli eventi più noti del settore dedicato a fumetto, cultura pop e gioco.
Tra gli oltre 270.000 partecipanti alla manifestazione, hanno invaso le strade della città di Lucca un innumerevole quantità di cosplayer, persone che indossano i panni di un protagonista dei fumetti, di un personaggio della letteratura fantasy, un supereroe o la figura di un manga, curando il proprio travestimento nei minimi dettagli in modo che risulti il più possibile credibile e aderente all’originale.

Il termine cosplay corrisponde all’abbreviazione dell’espressione costume-play e indica la pratica moderna di indossare costumi, oggetti e accessori per rappresentare un personaggio. Si distinguono diverse categorie, in base alla natura e al genere del soggetto che viene rappresentato.
L’obiettivo del cosplay può essere vario e spaziare dalla semplice espressione di un’adorazione nei confronti di un personaggio, al godere dell’attenzione che si riceve dagli altri, cosplayer e non, al fare esperienza del processo creativo necessario alla costruzione del costume. Il cosplay comprende infatti il design del costume, la realizzazione, il make-up, la costruzione di oggetti di scena e accessori e tutte le altre fasi del progetto creativo relativo alla produzione del costume.

Foto di Federico Basile
Foto di Azzurra Menzietti
Foto di Federico Basile
Foto di Federico Basile

Facendo una passeggiata al Lucca Comics & Games o guardando on line le foto dell’evento, si apprezza una galleria di accostamenti insoliti e una carrellata di figure e personaggi che non sempre si ha la prontezza di riconoscere, ma che catturano l’attenzione.
Una volta tornati a casa la curiosità resta. Perché una persona decide di dedicare tempo e risorse per diventare un cosplayer? Perché trascorrere una giornata “in costume” e non fare altro? Che sensazioni si provano quando a fine serata ci si spoglia, ci si strucca e si ritorna alla normalità?
Il tema della pratica cosplay è stato discusso in letteratura soprattutto per i suoi aspetti sociali, mettendone in evidenza le differenze nel significato e nei valori rispetto alla cultura orientale, in cui ha tratto origine.
Ci sono pochi studi che ne hanno indagato i risvolti psicologici e mi è venuto voglia di andarli a cercare. Non perché necessariamente la pratica cosplay debba essere legata a qualche tratto psicologico particolare, ma per la semplice curiosità di capire “chi c’è dietro la maschera”, se si tratta di un hobby come un altro o se invece c’è qualcosa di più che sostiene lo sforzo, il tempo e la dedizione.

Robin Rosenberg e Andrea Letamendi1, hanno proposto una survey on line ad un campione di quasi 200 persone, per la maggior parte statunitensi, che hanno affermato di praticare con regolarità il cosplay, per indagare molti aspetti diversi, di tipo demografico, comportamentale relativo alla pratica specifica del cosplay e psicologico (es. motivazioni della pratica, della scelta del personaggio, impatto dell’indossare una maschera sulla consapevolezza di sé).
Il campione raccolto era per il 65% femminile, di età compresa tra i 15 e i 50 anni, e più della metà dei partecipanti riportava di praticare il cosplay da 1 a 5 anni.
I risultati sottostanti alle motivazioni relative alla scelta della figura oggetto del cosplay sono illuminanti rispetto alla relazione che c’è tra cosplayer e personaggio, perché evidenziano fortemente tre aspetti di identificazioni: rispetto alle caratteristiche psicologiche, la storia personale o l’aspetto fisico della figura scelta. In questo senso, gli autori affermano che la presenza di alcune similarità potrebbe aumentare l’identificazione e questo, a sua volta, incrementare la possibilità e il desiderio di essere, almeno temporaneamente, quel personaggio.
I partecipanti allo studio non riportano invece differenze in termini di autoconsapevolezza, rispetto al fatto di indossare una maschera.
Questo studio delinea quindi una relazione tra persona e personaggio che va al di là del semplice apprezzamento estetico, e tocca aspetti più intimi della persona.

In Italia, Eugenia della Valle, Marzia Rossetti e Daniela Cantone2 hanno indagato il comportamento di un campione di circa 150 soggetti che affermavano di praticare cosplay, attraverso una survey on line.
Anche questo studio ha mostrato una prevalenza della pratica sul genere femminile.
La comunità oggetto della ricerca ha mostrato di essere molto attiva sulle piattaforme virtuali, di incontrare on line i propri amici con più frequenza rispetto ai non cosplay e di usare più spesso internet e i social media, al fine di comunicare o condividere idee e opinioni. Il maggior numero di relazioni amicali riferite dai cosplayer si affiancava però alla tendenza a non mantenere relazioni durature e stabili.
In uno studio precedente, Daniela Catone e altri coautori3 hanno indagato variabili di personalità usando il Personality Disorders Questionnaire (ADP-IV), notando come i cosplayers emergono come una popolazione caratterizzata da una forte tendenza all’inibizione sociale, che fatica nelle relazioni interpersonali, specie in quelle intime, che gestisce la relazione sociale attraverso il distacco emotivo, e mostra un forte bisogno di ammirazione che si accompagna però ad un senso di inadeguatezza e alla paura del giudizio.
Sulla base di questi risultati gli autori ipotizzano che il costume e l’imitazione di un personaggio di fantasia potrebbero avere il ruolo di facilitatori sociali, offrendo l’opportunità di vivere nella realtà qualcosa che, per paura del giudizio, non sarebbe altrimenti realizzabile.

Che dire? Sicuramente i dati di ricerca a disposizione sono pochi e necessitano di approfondimento. Quello che ad oggi emerge è che effettivamente chi scegliere di praticare il cosplay può manifestare specifici tratti e caratteristiche di personalità e che il fatto di “indossare un costume” e diventare, almeno temporaneamente qualcun altro, possa essere funzionale, o addirittura utile per quella persona.
Sicuramente è bello da vedere!

1Rosenberg, R., & Letamendi, A. (2013). Expressions of fandom ‒ Findings from a psychological survey of cosplay and costume wear. Intensities: The Journal of Cult Media, 5, 9-18.
2della Valle, E., Rossetti, M., & Cantone, D., (2015). Interpersonal relationships, sexual life, bodily experience and on-line activity: a comparative study between adolescent and young adult cosplayers and non-cosplayers. Mediterranean Journal of Clinical Psychology, 3(2).
3Cantone, D., Laudanno, A., Bellavita, L., & Cotrufo, P. (2013). Pratica Cosplay e dimensioni di personalità: Uno studio pilota. Psichiatria e Psicoterapia, 32(1), 18-28.

Copertina: foto di Federico Basile

Sara Zaccaria

Sara Zaccaria

Psicologa e psicoterapeuta, ha coniugato la passione per i libri e quella per la psicologia occupandosi dello sviluppo editoriale per Hogrefe Editore e svolgendo attività libero professionale con bambini e adulti.

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