Essere psicologi in Italia
Recentemente il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato:
Smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni. Smettetela di vaccinare i giovani, i ragazzi […], psicologi di 35 anni perché sono operatori sanitari anche loro. Queste platee di operatori sanitari che si allargano, in questo modo… Con che coscienza un giovane salta la lista e si fa vaccinare e sapendo che lascia esposto una persona che ha più di 75 anni e un rischio concreto di morte oppure una persona fragile?”.
Al netto delle polemiche che questa affermazione ha suscitato e delle reali intenzioni che sottostavano al messaggio, al di là della forma in cui è stato espresso, al di là dell’ipotetico senso di colpa dello psicologo che richiederà la vaccinazione, consapevole di aver messo a rischio la vita di qualcun altro, quello che viene spontaneo chiedersi è, che cosa pensano gli italiani dello psicologo?
Come è percepita, se viene percepita, la categoria professionale degli psicologi?
La professione degli avvocati, dei medici, degli architetti o degli ingegneri viene automaticamente riconosciuta come tale da chiunque in Italia e nel mondo, ma allora perché gli psicologi si trovano anche ora, dopo le affermazioni di Draghi, a dover giustificare l’esistenza della categoria professionale stessa, le motivazioni che hanno annoverato lo psicologo tra le professioni sanitarie e, nel caso specifico, il diritto a vaccinarsi?
Perché ci si sente dire: “Se fosse gratis, dallo psicologo ci andrei” quando nessuno si sognerebbe mai di andare da un ingegnere e richiedere che la sua prestazione professionale sia erogata a titolo gratuito? Perché nessuno si aspetta che il cardiologo offra una prima visita gratuita, mentre molti psicologi la considerano quasi una pratica normale?
Jean Piaget, uno dei più influenti studiosi nel campo della psicologia, ha affermato:
“Sfortunatamente per la psicologia, tutti pensano di essere psicologi”.
Che sia questo il problema?
Alla fine del 2017 l’Eurodap – Associazione europea disturbi da attacchi di panico ha svolto un sondaggio on line su un campione di 800 persone dal quale è emerso che il 70% dei partecipanti considerava inutile rivolgersi allo psicologo, pensando che le problematiche possano essere passeggere e che vadano risolte da soli o parlando con un conoscente e non con un estraneo.
Un’indagine condotta da ENPAP – Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Psicologi nel 2016 ha rilevato che la fascia di età delle persone che con maggiore frequenza si rivolge allo psicologo è quella compresa tra i 25 e i 45 anni, mentre la popolazione degli over 65 è senza dubbio meno propensa a richiedere aiuto professionale. Emerge inoltre che la richiesta maggiore avviene da parte di pazienti laureati, per poi decrescere parallelamente al titolo di studio.
Nel 2017 Federico Zanon, allora vicepresidente dell’ENPAP, affermava che dei 55.000 professionisti attivi in quel momento, un terzo non superava un reddito di 5.000 euro/annui netti, un terzo si collocava fra 5.000 e 20.000 euro e un terzo superava i 20.000 euro. Nonostante i volumi di vendita della psicologia in Italia risultassero già all’epoca in aumento, dai dati dichiarati emerge che molti psicologi lavoravano, e guadagnavano, poco.
Molto recentemente il CNOP – Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha promosso un’inchiesta da cui è emerso che, in conseguenza della situazione di pandemia, la percentuale di cittadini che ha avuto la necessità di ricorrere ad un supporto psicologico professionale è passata dal 40% al 62%. Tale bisogno risulta raddoppiato nel caso di chi vive in coppia, rispetto invece a chi vive in un nucleo familiare più ampio. Per i single, invece, questa necessità è aumentata del 12%. In generale, sono le donne e i giovani, più degli uomini adulti, a ritenere che serva uno psicologo per superare questa fase.
Nonostante le resistenze ad affidarsi al supporto di uno psicologo, le credenze che impongono il bisogno di essere forti e la necessità di farcela da soli, la convinzione del fatto che “In fondo, siamo tutti un po’ psicologi”, potrebbero essere l’isolamento e le restrizioni causate dall’emergenza sanitaria a far percepire alla popolazione che il benessere mentale è importate tanto quanto quello fisico?
Potrebbe essere l’occasione per la categoria professionale degli psicologi di far percepire al Paese il suo essere in grado di supportare concretamente la popolazione? La chance di guadagnare la dignità di categoria professionale sul campo, e di godere del riconoscimento del ruolo professionale che altri professionisti danno per scontato?