Psicologisti - Selfie pericolosi

Selfie pericolosi

Si può morire per un selfie o per una sfida in rete? Si può arrivare a dichiararsi vittima di reato per ricercare attenzione e visibilità? Quanto peso ha nella vita di giovani e adolescenti l’attenzione che eventi e comportamenti estremi richiamano?
Lo scorso 6 maggio una ragazzina di Bolzano aveva dichiarato di essere stata vittima di violenza sessuale per poi ritrattare il fatto e motivare il gesto come il tentativo di attirare l’attenzione del fidanzato. Lo scorso settembre un ragazzo di 15 anni di Sesto S. Giovanni, è morto per un selfie “estremo” dal tetto di un centro commerciale. Poco prima un quattordicenne si era ucciso nel tentativo di emulare il Black out, gioco estremo popolare sui social che consiste in una folle sfida all’autosoffocamento fino al limite massimo di resistenza.

Che l’adolescenza sia un periodo in cui fisiologicamente si cerchi di testare i propri limiti e di arrivare a costruire la propria identità, prendendo le distanze dai propri genitori, non è certo una novità. Ma quanto è facile superare il limite ed incorrere in comportamenti oggettivamente pericolosi o addirittura potenzialmente mortali?

Si definisce sensation seeking il bisogno di cercare nuove sensazioni, nuove situazioni emotivamente forti e particolarmente intense, anche a scapito della  propria vita o quella di altri. Spesso si tratta di comportamenti impulsivi, che implicano una mancata o scorretta valutazione del rischio di pericolosità, ma la maggior parte delle volte sono condotte ricercate intenzionalmente, per sperimentare adrenalina e sensazioni forti. L’attrattiva non risiede tanto nel rischio in sé quanto proprio nelle sensazioni che solo l’esperienza estrema permette di provare.

I dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza sulla numerosità di questo tipo di comportamenti fanno seriamente riflettere. Il fenomeno dei KILFIE o selfie killer, ossia i selfie in cui si mettono in atto comportamenti pericolosi, si arriva anche a rischiare la vita pur di ottenere visibilità sui social media, like e condivisioni sono davvero allarmanti, soprattutto considerando l’età dei ragazzi coinvolti. Rispetto ad un campione di 11.500 ragazzi distribuiti su tutto il territorio nazionale, l’8% degli adolescenti ha dichiarato di essere stato sfidato a fare un selfie estremo e 1 adolescente su 10 ha effettivamente accettato la sfida mettendo a rischio la propria incolumità, per dimostrare il proprio coraggio. La percentuale sale nei più piccoli, nella fascia di età 11-13 anni, raggiungendo il 12%.
La stessa tendenza viene confermata dall’indagine condotta da Quotidiano.net in cui risulta che il tasso di mortalità che deriva dal praticare i cosiddetti “selfie estremi” è in aumento e che il 18% degli adolescenti intervistati a preso parte ad un qualche tipo di “catena social” e che il 50% di questi è stato nominato in questo contesto, e dunque chiamato a partecipare a qualcuna di queste catene, con la richiesta di compiere un gesto specifico.

Se dunque la ricerca di sensazioni forti e del picco di adrenalina spinge a mettere in atto comportamenti pericolosi, è sicuramente la possibilità di darne visibilità in modo diffuso che spinge l’adolescente a condividere, a ricercare like e a trarne di riflesso almeno altrettanta soddisfazione rispetto all’aver vinto una sfida con se stessi. In quest’ottica, si appaga il bisogno di piacere agli altri, di essere visti, di essere parte, almeno virtualmente, di una comunità di persone che fa cose speciali, che qualcuno vede e commenta, e che si distingue dalla massa.

Emerge dunque, ancora una volta, che l’uso della tecnologia e dei mezzi di comunicazione interferisce in maniera pervasiva, e a volta dannosa, sulla vita e sul percorso di crescita delle nuove generazioni, e che di questo non si può non tenere conto quanto si interagisce come professionista o genitore con giovani e adolescenti.

Sara Zaccaria

Sara Zaccaria

Psicologa e psicoterapeuta, ha coniugato la passione per i libri e quella per la psicologia occupandosi dello sviluppo editoriale per Hogrefe Editore e svolgendo attività libero professionale con bambini e adulti.

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