Psicologisti - Intervista a Ezio Sanavio

Intervista a Ezio Sanavio

Ezio Sanavio

Prof. Sanavio, lei ha improntato buona parte della sua attività professionale e didattica alla ricerca sul campo. Quali potrebbero essere le aree di maggiore interesse (e di ricerca) in psicologia che consiglierebbe di approfondire vista l’attuale pandemia?

Penso che l’attuale crisi sanitaria possa essere considerata uno sciagurato “esperimento di psicologia sociale” che permette di vedere all’opera comportamenti pro-sociali, a-sociali e addirittura anti-sociali di grandi gruppi sociali. Una ricerca semplicissima potrebbe essere condotta registrando e analizzando variabili dipendenti come il distanziamento sociale e l’uso di mascherine, che sono stati rilevati dalle migliaia di telecamere che fotografano in ogni momento le nostre città.

In questo periodo di emergenza sanitaria si sente parlare poco di emergenza psicologica. Quali sono, secondo lei, le possibili ripercussioni sulla popolazione generale da un punto di vista comportamentale e psicologico?

Mi aspetto una impennata di pazienti che presenteranno disturbi d’ansia e disturbi dell’umore, oltre che conflitti di coppia e intrafamiliari.

Che cosa può offrire in questo particolare contesto socio-sanitario l’approccio secondo il modello cognitivo-comportamentale?

L’approccio cognitivo e comportamentale è tout-court il primato del metodo scientifico, a differenza di tradizionali voci letterarie e filosofiche di successo. Permette di inserirsi – alla pari di altri scienziati – nei vari temi e problemi sollevati dall’emergenza.

Si osservano sempre più spesso persone che accusano attacchi di panico. Si tratta di persone più fragili o è un’eventualità che può presentarsi in tutte le persone?

Bisognerebbe controllare questa affermazione. Spesso si usa impropriamente il termine “panico” solo come superlativo di paura. Nella storia dei secoli scorsi probabilmente ogni generazione ha conosciuto il terrore di epidemie e pandemie devastanti: dunque nulla di nuovo sotto il sole. Semmai la sorprendente novità è stato un intervallo di cent’anni dalle stragi della famigerata spagnola.  

Soffrire di un attacco di panico deve essere considerato un “segnale” per l’insorgenza di qualcosa di più grave di cui si potrebbe soffrire o che si sta sviluppando in una persona?

Assolutamente no! Questa tesi è solo risultato di pubblicità tesa ad assicurare la piena occupazione a strizzacervelli, erboristerie e farmacie. A partire dalla metà dell’800, la condizione umana è stata descritta all’insegna dell’angoscia, della precarietà e del nonsenso.

Esiste, secondo lei, un collegamento tra pandemia, Disturbo di Panico e Fobia Sociale?

Psicologisti - 100 domande Attacchi di panico

Ribadisco quanto detto, trovo anzi disgustoso che si possa pensare di approfittare di questa drammatica emergenza per vendere pillole o libri.

Nel suo ultimo libro Attacchi e disturbo di panico pubblicato da Hogrefe Editore nella collana 100 Domande lei affronta con dovizia di particolari come affrontare gli attacchi di panico da un punto di vista diagnostico e trattamentale. Qual è la componente più problematica nella gestione di questo tipo di condizione e di pazienti?

L’ignoranza di gran parte degli operatori delle professioni sanitarie. Il disturbo di panico è in moltissimi casi un disturbo iatrogeno.

Daniele Berto

Psicologo e psicoterapeuta è attualmente Dirigente-Psicologo presso la Asl di Padova, dove si occupa di stress lavoro correlato. Unisce all'attività istituzionale, l'attività didattica e forense.

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